GABRIELE GANDOLA
Mi chiamo Gabriele e sono nato a Gallarate 36 anni fa. Lavoro nel campo dell’aviazione civile e per questa ragione ho avuto la fortuna di viaggiare in tutto il mondo, molto spesso in paesi poveri o meno fortunati. Le mie passioni sono lo sport, il ballo e i viaggi. Fin da adolescente ho sempre risparmiato i soldi per viaggiare. Il primo viaggio da solo l’ho fatto a 17 anni in Italia, mentre all’estero sono andato alle Mauritius all’età di 21 anni.
Oltre a questo, considero una “passione” aiutare il prossimo. In Italia sono iscritto a un’associazione che aiuta i senza dimora di Milano che si chiama M.I.A. (Milano In Azione). La inserisco tra le passioni non perché la faccio a tempo perso o nel tempo libero, ma semplicemente perché lo faccio con il cuore e il tempo libero cerco sempre di trovarlo.
Le Sisters di Madre Teresa le ho trovate cercandole e una volta trovate sono tornate per tre anni consecutivi.
L’attività di volontariato a Milano non mi bastava più, poche ore durante la settimana e poi tornavo alle mie comodità e distrazioni, avevo bisogno di immergermi nella povertà, nella sofferenza, e nelle difficoltà che provano certe categorie disperate, avevo bisogno di sentire. Così ho cercato la possibilità di fare volontariato in India. La pagina web delle Sisters si è aperta subito, come se mi stessero già aspettando...
La giornata cominciava sempre con la sveglia tra le 5 e le 5:15 del mattino (00:30 italiane), mi preparavo e andavo alla messa delle 6 nella Casa di Madre Teresa. Non sono una persona che ama andare a messa, anzi, ma in quel luogo non sono riuscito a perderne nemmeno una, nonostante fossi anche un amante del dormire fino a tardi. La messa era recitata da un prete indiano in lingua inglese, quindi quasi completamente incomprensibile, ma la magia in quel luogo e la sua energia erano di un altro mondo; non ho mai sentito un’intensità così forte e un’aria così densa.
Era un momento di grande raccoglimento e di profonda meditazione in cui noi volontari, insieme alle Sisters, ci univamo in una solenne e silenziosa concentrazione. Il tempo si fermava e i pensieri si azzeravano. Era la preparazione del nostro Spirito all’attività di carità che avremmo sostenuto e alla giornata di lavoro che avremmo affrontato da lì a poco.
Dopo la messa, dalle 7 alle 8, c’era la colazione offerta dalle Sisters composta da 2 banane, 2 fette di pane e un chai caldo. Dopo la colazione si recitava la preghiera dei volontari e si salutavano i ragazzi che erano all’ultimo giorno di volontariato cantandogli una canzone di saluto.Alle 8 si aprivano le porte e ognuno andava al centro in cui era destinato.
Di mattina ero impiegato a Nabo Jibon e il pomeriggio a Kalighat, il primo amore di Madre Teresa.La mattina seguivo i bambini diversamente abili, dementi e con problemi mentali. Il lavoro era seguirli al 100%, dovevamo cambiarli se si sporcavano, portarli a passeggio a piedi o sulla sedia a rotelle, oppure imboccarli a pranzo se avevano difficoltà a mangiare da soli.Nel pomeriggio mi spostavo a Kalighat e facevo cose molto simili, ma con adulti. Gli ospiti erano anziani in punto di morte, ex lebbrosi, amputati, malati di mente e invalidi di ogni tipo. L’attività era quasi come con i bambini, ma una cosa che mi ha colpito è stata che gli anziani cercavano molta tenerezza, affetto, coccole, abbracci, strette di mani e tutto quello che poteva essere trasmissione dell’amore umano.La giornata di lavoro finiva circa alle 17. Al termine ognuno andava a riposare o a fare un giro per la città, anche se ormai era già buio.La sera ci si trovava tra volontari per mangiare insieme o per fare due chiacchiere, ma senza fare tardi, il lavoro e i pazienti portavano via così tanta energia che andavo a dormire sempre molto presto.
La mia avventura è avvenuta dopo molti anni di Africa, in cui ho visitato Kenya, Tanzania, Ghana, Gabon, Angola, Mauritius, Nigeria etc, oltre a ciò avevo alle spalle 4 viaggi in India a New Delhi. L’aspetto emotivo nei confronti della povertà non ha dato problemi, sapevo bene cosa mi aspettava, sia nel mondo sia in India, ma prima di partire sapevo che non avrei voluto lavorare con bambini disabili o
con problemi mentali. Non per razzismo, ma perché sin da piccolo ho avuto sempre un certo distacco, forse perché troppo imprevedibili.Sapevo dentro di me che questo sarebbe stato il mio unico limite.Quando sono arrivato il primo giorno, ho conosciuto dei volontari italiani che mi hanno chiesto dove volessi lavorare. Ho risposto, facendo lo splendido, che ero venuto per lavorare e che andava bene qualunque posto dove ci fosse bisogno. Loro mi risposero prontamente che si erano offerti per lavorare a Nabo Jibon perché in quel posto c’era bisogno di aiuto per seguire i bambini disabili e con problemi mentali. In quel momento ho capito che quello era un altro motivo per cui ero approdato in quella magica città.
Aprire il cuore per qualcosa che ci piace è semplice, aprirlo dove c’è una difficoltà è più difficile. Il destino mi aveva sfidato ed io gli ho risposto affrontandolo.L’impatto con i bambini non è stato semplice, ricordo che mi sono subito impressionato per alcune cose, ma poi l’amore ha prevalso. I primi giorni mi sono molto concentrato sulla “tecnica” e sul lavoro, ma appena preso confidenza con la routine è cominciata la fase più difficile, l’affezionamento ai bambini e l’amore nei loro confronti.
Quei bambini che ero venuto ad aiutare mi davano lezioni di vita tutti i giorni.Mi hanno insegnato la semplicità del fare, la serenità del vivere e la leggerezza dello spirito.Dal punto di vista fisico è stato duro per gli orari stressanti. Durante l’attività ci capitava spesso di prendere i bambini in braccio per alzarli, spostarli o lavarli, quindi la schiena dopo pochi giorni ha cominciato ad attirare l’attenzione, in più Calcutta è una città molto inquinata e sporca. Lo smog era molto aggressivo e le vie respiratorie si sono intasate. Mal di gola e tosse erano diventati dei fedeli compagni di viaggio.Anche le camere non erano il massimo, l’igiene lasciava a desiderare, c’erano molti insetti e topi e le docce non sempre avevano l’acqua calda. I denti andavano lavati sempre e rigorosamente con acqua naturale in bottiglia per evitare malattie o batteri di ogni tipo. Tutto questo è stato accettato sempre da tutti con grande spirito di adattamento, le persone che vivono per strada non sono una favola e lamentarsi, pur avendo un posto sicuro, riparato e caldo dove dormire, non era poco e le lamentele non facevano parte della missione.
Se posso dare un consiglio a coloro che vorrebbero avvicinarsi al volontariato posso ripetere le parole che diceva Madre Teresa: “il volontariato comincia nella propria famiglia. Non puoi portare nel mondo l’amore di Dio, se prima non lo porti nella tua propria casa”.Il mio consiglio è di cominciare con chi è più vicino, che possono essere i malati in famiglia o nella propria città. Cominciare con una onlus che aiuta i senza dimora e poi vedere se si è portati. Non tutti siamo portatori sani di solidarietà o carità. Non deve essere una vergogna il fatto di non essere portati, ma è necessario capirlo prima di una esperienza importante, perché viverlo a metà produce solo effetti negativi su se stessi e su chi si aiuta...che se ne accorge subito
Per cominciare l’attività di volontariato non servono requisiti particolari, anche se molte NGO chiedono un sacco di qualità e studi particolari. Sempre Madre Teresa diceva: “servono cuori per amare e mani per servire”. La sua risposta dice tutto, preferisco non fare nessuna interpretazione.
Per lavorare con delle onlus nella propria città bisogna solo informarsi. A Milano c’è M.I.A. (Milano In Azione) che è un fantastico trampolino di lancio. Per lavorare con le Sisters a Calcutta serve solo partire. Loro accettano tutti e non c’è bisogno di iscrizioni o di contattarle prima; si effettua l’iscrizione presso la loro sede con il passaporto e si comincia a lavorare da subito.
Per concludere la descrizione della mia esperienza posso dire che sono andato per aiutare e invece sono stato aiutato, sono andato per insegnare e invece ho imparato, sono andato per fare solidarietà e invece ho scoperto la carità, sono andato pensando di essere uno dei pochi e invece ho conosciuto molti volontari unici e fantastici...
Ho ricevuto i migliori insegnamenti sacri sulla Vita e su quanto sia importante la semplicità delle cose per alleggerire il proprio spirito. Di quanto un piccolo gesto sia in grado di spostare una montagna e di come il sorriso di un bambino riesca a sciogliere anche il ghiacciaio più gelido.Ho imparato anche la sofferenza e la gioia della Morte e il loro tacito accordo. Ho stretto la mano di un vecchio morente e ho capito l'importanza di una mano in punto di morte, anche se di un perfetto sconosciuto, perché morire nella solitudine fa più paura della morte stessa.